Solitamente si parla di grandi e piccole imprese sportive, ma la bellezza dello sport ed in particolare del judo, non risplende solo nei risultati ottenuti, ma anche nelle piccole storie, quelle che danno un senso alla vita di tutti i giorni.
Come la storia di Ivan, che appena quattordicenne, lascia l’Ucraina a causa del conflitto. I suoi genitori temono per la sua vita e fanno in modo che vada a stare in Italia, a Castelfiorentino, nella piccola cittadina della Toscana dove già da tempo si sono insidiati i suoi zii che lo accolgono come un figlio. Ivan non parla l’italiano, ma riesce a comunicare attraverso l’inglese. Si porta dietro una grande ferita, ovvero la separazione forzosa dalla sua famiglia, dai suoi amici, dalla sua terra.
In Toscana prova a ricostruirsi una vita “normale”. A scuola ad Empoli la mattina, in palestra il pomeriggio, per continuare una grande passione quella del judo, che già praticava a Kharkiv, la sua città di origine. E così approda al Judo Kodokan Empoli, che lo accoglie fra i propri atleti con grande entusiasmo. Per qualche ora almeno, può concentrarsi sul judo, contare sui suoi compagnia, su tutto lo staff e sul suo nuovo coach, dimenticando almeno per qualche ora, che la sua famiglia è lontana e che il padre combatte al fronte di una guerra che continua a seminare morte e distruzione. Ivan si allena con grande intensità, con una passione incredibile.
Non è semplice per lui tenere il ritmo dei compagni, tra l’ostacolo della lingua e l’inevitabile spaesamento dei primi mesi. Ma Ivan non demorde, vuole lottare e vuole vincere. La sua motivazione è grande, e i suoi nuovi compagni di judo gli stanno vicino nei momenti di sconforto e lo spronano a non mollare. Dopo pochi mesi, Ivan riesce a partecipare ad alcune competizioni agonistiche e si toglie persino la soddisfazione di salire sul podio in più di una occasione. Ma la più grande vittoria di Ivan è un’altra. È quella di essere diventato a tutti gli effetti un membro della famiglia del Judo Kodokan Empoli.
E in cuor suo sa che questo legame resterà sempre vivo, a prescindere dalla sua permanenza in Italia. Dopo un anno circa dal suo arrivo a Empoli, Ivan torna a Kharkiv, dove la situazione migliora pur restando critica. Ivan torna a stare con la sua famiglia, ad allenarsi con i suoi vecchi compagni, ma non dimentica i suoi compagni di judo empolesi ed il suo maestro Alessandro, con il quale mantiene costanti rapporti, si sentono, si scrivono, commentano insieme gli incontri che Ivan disputa in Ucraina.
Tutto questo non lo dimentica neppure il padre di Ivan, che per ringraziare chi è stato vicino a suo figlio in un periodo così difficile della loro vita, firma una dedica in un giorno fondamentale, quello della liberazione del villaggio di Orekhova dalle forze russe, facendo giungere il messaggio al maestro Alessandro, il giorno del suo compleanno. Ora la bandiera è arrivata ad Empoli, autografata da molti compagni di armi del padre di Ivan, e con tanta soddisfazione il vessillo giallo blu è stato festeggiato dalla grande famiglia del Judo Kodokan Empoli, in attesa di essere esposta in ricordo delle belle esperienze vissute con Ivan.
Ecco, questa piccola storia racchiude in sé la vera essenza del Judo e della sua cultura, quella della tolleranza e del rispetto, una cultura della pace che appare incompatibile con ogni forma di violenza e di prevaricazione, e che vede gli esseri umani uniti fra di loro senza distinzione di sesso, di genere, di colore della pelle, di nazionalità e senza discriminazione alcuna. Non a caso, Jita-Kyoei, dal giapponese “amicizia e mutua prosperità”, è uno dei principi fondamentali del judo secondo l’insegnamento del suo indimenticato fondatore, il maestro Jigoro Kano (1860-1938).